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LAVORO, UNA RIFLESSIONE: PERCHÉ PENSARE SOLO AL FUTURO E NON ANCHE AL BREVE, CHE SI PRESENTA MOLTO PROBLEMATICO?


La riflessione è nata con la partecipazione al recentissimo convegno del Sole24Ore: “Job evolution” – molto interessante, come al solito - e da un'analisi approfondita sulle prospettive lavorative dei prossimi cinque anni, basata sui principali dati sull'occupazione attuale, la domanda potenziale e le carenze oggettive che emergeranno, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Secondo le previsioni ottimistiche di Unioncamere, nel periodo 2024-2028 emergerà una domanda di circa 3,6 milioni di nuovi lavoratori, di cui 2,2 milioni per sostituire coloro che andranno in peva domanda. Ciò si traduce in una mancanza totale di 726mila lavoratori all'anno.

Nello stesso intervallo di tempo, le nuove entrate, ovvero i giovani, non supereranno le 300mila unità, il che significa che mancheranno in cinque anni circa 2 milioni di nuovi lavoratori in totale.

La domanda allora diventa: dove possiamo recuperare questi lavoratori mancanti? Al momento, le ipotesi che vengono considerate si focalizzano su diverse frontiere, ma quasi tutte con risultati a medio-lungo termine.

·       Incrementare il recupero di giovani fra i famosi NEET, con incentivi e rendendo più attrattivo il lavoro: nella realtà non esiste un “piano giovani” e le imprese non facilitano il loro ingresso offrendo posizioni di profilo adeguato alla preparazione, con contratti e remunerazioni adeguate: un problema essenzialmente culturale, con effetti a lungo termine.

·       Aumentare il lavoro femminile, nel nostro Paese tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne a fronte del 70,2% in media Ue. Il tasso di occupazione maschile è al 76% (80,5% in Ue) anche per il lavoro femminile non esiste un piano, non solo ma il raggiungimento della parità di genere è un fatto culturale che non si cambia in tempi brevi.

·       Frenare l’uscita degli ultracinquantenni, con incentivi e ricollocazione degli espulsi anche con interventi di formazione per colmare il divario di competenze: anche per questa soluzione si richiede formazione continua nelle imprese, che, come sappiamo, è raramente praticata per la dimensione media delle imprese stesse.

·       Una immigrazione programmata ma di più alto livello di quella attuale, per rispondere alla domanda delle imprese: purtroppo la politica italiana dell’immigrazione non prevede, come in Germania che ha scelto a suo tempo siriani con un alto livello di preparazione, una selezione all’origine; quindi, anche questa soluzione non potrà essere che a lungo termine.

·       Un’incentivazione a continuare il lavoro oltre l’età della pensione. Già la pubblica amministrazione ha denunciato la carenza di personale e c’è nell’aria un decreto per spostare a 70 anni la possibilità, condivisa, di rimanere al lavoro: questa è forse una delle poche soluzioni con effetti a breve.

 

Ma allora come risolviamo il problema della carenza di addetti a breve (ricordo ben 2 milioni)?

Nessuno ha preso in considerazione nella giusta misura il fenomeno descritto con il nome “L’inverno demografico” e cioè l’invecchiamento della popolazione.

Gli ultrasessantacinquenni sono attualmente un quinto della popolazione e in crescita: 15 milioni, dei quali solo 5 milioni sono non autosufficienti e i restanti 10 milioni con un’aspettativa di vita di vent’anni, almeno metà della quale in salute.

Non solo, ma la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia ha definito un sessantacinquenne di oggi con capacità fisiche e cognitive come un quarantacinquenne di trent’anni fa, suggerendo di spostare a 75 anni il “confine” verso l’anzianità.

Questa fascia d'età è piena di individui con competenze notevoli, che potrebbero essere utilizzate immediatamente, se solo avessimo un adeguato progetto di regolamentazione del lavoro per i pensionati.

Questo scenario è una novità assoluta per la nostra società: mai prima nella storia i grandi adulti sono stati così numerosi (in assoluto e in percentuale sulla popolazione!) attivi (e attivabili) e in condizione di rappresentare una risorsa più che un carico per la società (almeno per i 2/3 dei 15 milioni di over 65).

Ma come valorizzare concretamente questa risorsa?

Non investire ulteriori risorse e spendere tempo nello sviluppo di singoli progetti verticali, ma spostare il focus sulle singole comunità locali.

Ogni territorio cala le proprie criticità all’interno di scenari diversi da comune a comune e solo creando singoli tavoli di lavoro “olistici”, ai quali siedano tutti i rappresentanti delle categorie del territorio, per affrontare ogni problema (gli stessi di tutti gli altri territori) con approcci specifici (diversi per ogni territorio)

 

Forse dovemmo prendere in considerazione questa soluzione con rapidità

Ci troviamo in una condizione nuova

 

Giampaolo Pacini

Presidente AttivaMENTE

Associazione per l’inclusione degli anziani nella società

 20 ottobre 2024

 

 



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